La quantificazione delle spese di lite non subisce deroghe nel «caso particolare in cui
la parte vittoriosa è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato»; infatti anche in
tal caso il giudice civile «applica gli ordinari criteri di liquidazione», pure se lo Stato
corrisponde al difensore del non abbiente un compenso dimezzato.
È quanto si legge nella sentenza n. 64 del 2024, depositata oggi, con cui la Corte
costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate sull’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.
La sentenza ha precisato che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato fa sorgere
un rapporto che si instaura direttamente tra lo Stato stesso e il difensore del
beneficiario del patrocinio. A tale rapporto «le parti del giudizio rimangono
totalmente estranee»: l’applicazione dei normali criteri di liquidazione pertanto non
si traduce, per il soccombente, in una «ulteriore effettiva decurtazione» patrimoniale
rispetto a quella avrebbe subito ove la controparte non fosse stata indigente.
Ragionando diversamente, del resto, si perverrebbe al risultato di «garantire un
ingiustificato vantaggio patrimoniale alla parte soccombente solo perché la
controparte rientra fra gli indigenti e lo Stato si fa carico, anche attraverso la fiscalità
generale, dell’onere del loro patrocinio».
Sono state così disattese le censure con le quali il Tribunale di Cagliari sosteneva che,
per effetto della disposizione censurata, il soccombente subirebbe un «prelievo
coattivo» di natura tributaria.
La sentenza ha anche escluso la violazione dell’art. 76 Cost. per eccesso di delega.
La disposizione censurata non ha, infatti, «carattere realmente innovativo rispetto al
quadro normativo previgente»; nella redazione del testo unico, pertanto, il Governo
ha rispettato il criterio direttivo del coordinamento formale delle norme oggetto del
riordino delegatogli.
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FONTE
https://www.cortecostituzionale.it/
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